Wellness experience natalizie per connettere i brand ai clienti
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Sono tanti e diversi i bias cognitivi e i neuro-effetti che in maniera etica e responsabile possono venire utilizzati dalle agenzie di comunicazione e marketing che si occupano di aspetti strategici di brand development e commerciali. Tali leve rappresentano schemi altamente sofisticati perché intervengono in quei touchpoint tra consumatore e brand e possono facilitare l’engagement del primo e la reputazione nei confronti della marca, fino a consolidare un rapporto che può culminare anche con un acquisto.
Tra queste tecniche di neuromarketing l’effetto priming è uno tra i più utilizzati. E capiamo perché.
Come abbiamo anticipato, si tratta di un bias psicologico e si basa sul principio che l’esposizione a determinati stimoli – siano essi visivi, verbali o olfattivi – possono influenzare in modo sottile ma efficace le decisioni di acquisto del consumatore. Questo fenomeno postula la capacità del cervello di associare automaticamente stimoli sensoriali, come appunto colori, parole, odori, immagini e suoni, a determinate azioni o emozioni. Ad esempio, un cliente esposto a colori come il rosso o l’arancione potrebbe essere inconsciamente portato ad associare questi toni con l’idea di urgenza, di sconti o promozioni, inducendolo a prestare maggiore attenzione a una proposta commerciale che altrimenti avrebbe con molta più probabilità ignorato. Tuttavia, questa strategia non si limita come possiamo dedurre a schemi esclusivamente cromatici: l’uso di parole specifiche, immagini specifiche o persino suoni selezionati può orientare le scelte di consumo, sfruttando associazioni mentali radicate e automatiche.
Si capisce bene anche il limite di una tale tecnica che, se non dosata in maniera consapevole, diventa pericolosa e scivola in un problema etico. Un utilizzo parsimonioso, corretto, etico, per l’appunto, implica che ogni stimolo sia utilizzato come parte di una narrazione autentica e trasparente, che non crei aspettative fuorvianti che inducono in errore. Se, per esempio, il priming viene impiegato per enfatizzare la qualità di un prodotto attraverso immagini che richiamano concetti come lusso o benessere, è essenziale che tali immagini riflettano fedelmente l’esperienza effettiva del prodotto stesso. Questo evita che il consumatore si senta deluso e tradito.
L’effetto priming, dunque, sebbene potente, deve essere usato con la giusta misura e nel rispetto della customer experience, senza cioè “forzare la mano”. Ad esempio, un punto vendita di un brand che utilizza un arredo olfattivo per migliorare un senso di comfort e benessere, e prolungare il tempo di permanenza in negozio, non può diventare una strategia manipolatoria. Gli odori hanno una ripercussione profonda a livello neuronale e diventano stimoli subliminali, per stimolare impulsi d’acquisto anche non necessari. Un uso intelligente, ad esempio, è quello di abbinare strategie di priming nel design delle interfacce digitali, dove è possibile fare ricorso ai colori, o alle forme e ai testi nei siti e-commerce o nelle app, per guidare gli utenti verso una navigazione possibilmente più semplificata, più intuitiva. Anche qui, però, è essenziale che tutto il processo risulti fluido e non percepito come un tentativo di manipolazione. Ad esempio, l’uso del colore verde per pulsanti di acquisto che comunicano azioni positive e rassicuranti è un chiaro esempio di priming che incoraggia la conversione ma senza forzare l’utente a fare una scelta precipitata. La scienza alla base del priming si fonda quindi su meccanismi di memoria implicita: il cervello, esposto a un determinato stimolo, prepara il terreno per conoscerlo, riconoscerlo e rispondere a esso con maggiore facilità successivamente. Il priming funziona proprio perché agisce a livello pre-cosciente, rendendo la persona più recettiva a determinati messaggi e aumentando così la probabilità di un’azione desiderata, come un click su un banner o una scelta di prodotto.
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Lo abbiamo anticipato, ma vista la delicatezza della materia, preferiamo dedicare al tema un paragrafo dedicato, ovvero ci preme sottolineare come l’effetto priming, sollevi questioni etiche delicate, che possono superare i limiti della persuasione per sfociare nella manipolazione della sua natura subliminale e condizionare fortemente la libertà di scelta e di azione del consumatore. Questo avviene specialmente quando un brand opta per strategie che hanno come fondamento stimoli sensoriali o cognitivi che agiscono a livello inconscio, rendendo i clienti più inclini a compiere determinate azioni senza che ne siano del tutto consapevoli. Un uso scorretto e aggressivo di questa tecnica può compromettere pertanto la trasparenza del rapporto consumatore-marchio e erode drasticamente quella fiducia che ogni brand dovrebbe instaurare con il proprio pubblico.
L’effetto priming, infatti, non deve mai essere utilizzato per camuffare o alterare la percezione di un prodotto o servizio senza che si forniscono contestualmente tutte le informazioni oneste, chiare, prive di suggestioni, etiche. Il rischio, quindi, è che si infranga il principio di trasparenza, portando a pratiche commerciali ingannevoli o che non rispettano il diritto dei clienti a essere informati. Bisogna rifuggire da un uso portato all’estremo, ovvero, sfruttando l’emozionalità del consumatore e facendo leva su paure e desideri inconsci e profondi, senza concedere la possibilità di razionalizzare una propria scelta. Alcuni marchi, ad esempio, hanno sfruttato immagini nostalgiche per creare un collegamento emotivo ingannevole con il passato, spingendo i consumatori a percepire un valore maggiore rispetto a quello effettivamente presente. Si tratta di casi in cui lo storytelling si è trasformato in una sorta di macchina per distorcere la realtà, presentando prodotti che, in verità, non avevano nulla di autenticamente legato alla narrativa proposta.
Nonostante questa tecnica possa facilmente diventare una lente per distorcere la realtà e le facoltà decisionali del consumatore, sono innegabili i benefici se l’effetto priming viene impiegato con responsabilità, poiché in questo caso, si può migliorare significativamente l’esperienza dell’utente, la percezione positiva nei riguardi del brand ne risulta rafforzata.
A differenza di metodi di persuasione aggressivi, il priming etico tende piuttosto a creare un dialogo autentico, una connessione fluida e intuitiva tra il consumatore e il messaggio veicolato, facilitando scelte di acquisto consapevoli e ponderate. In questi casi gli stimoli sensoriali diventano leve di orientamento che facilitano e rendono più gratificante l’intero percorso decisionale e il customer journey, ma non si sostituiscono a quello. Accade di percepire ad esempio sensazioni di comfort e familiarità, quando un brand fa uso di tonalità calde e accoglienti, incentivando un’esperienza d’acquisto più rilassata e gradevole. Rientrano perfettamente come esempi di priming cromatico certe catene alimentari e alcuni supermercati, dove l’impiego di colori come il verde indicano la freschezza e la naturalezza delle sezioni che accolgono e mostrano i prodotti biologici, ma senza distorcere la realtà dei prodotti stessi. Questo tipo di stimolo visivo, infatti, è coerente con la natura degli alimenti offerti e non mira a fuorviare il consumatore, semmai rafforza un messaggio autentico, una caratteristica che è insita e che esiste già nel prodotto stesso. Questo approccio sottile e rispettoso rinforza la percezione positiva del brand e crea un ricordo piacevole legato al marchio, che aumenta la probabilità di fedeltà nel lungo periodo.
La gestione responsabile dell’effetto priming non implica solamente un uso appropriato degli stimoli sensoriali, chiaramente. ma richiede una riflessione ben più profonda sulla mission aziendale e sui valori che il brand intende comunicare. Non si tratta di sfruttare leve psicologiche per massimizzare le vendite a breve termine, ma di costruire una relazione di fiducia e rispetto in grado di crescere e consolidarsi nel tempo.
Il priming etico, infatti, è una questione di trasparenza e rispetto per il consumatore: significa stimolare sì desideri e decisioni di acquisto attraverso l’associazione di idee, ma queste devono essere coerenti con la mission aziendale e con i valori di chi compra. L’effetto priming, in questo contesto, è uno strumento che deve essere integrato in una strategia di comunicazione più ampia, che promuova un autentico allineamento tra prodotto e valori, e coerenza tra il messaggio e l’esperienza effettiva del prodotto stesso. Se non c’è la realtà a garantire i messaggi, il rischio è quello di danneggiare irrimediabilmente la reputazione del brand, facendo in modo che si percepisca una netta discrepanza tra la promessa e la realtà, che si verifichi cioè anche una narrativa utile a creare solo falsi miti. Collaborare con esperti di marketing etico può rappresentare una soluzione vincente per costruire strategie che siano al tempo stesso efficienti e rispettose, permettendo al brand di crescere in maniera sostenibile e di edificare relazioni di valore con i propri clienti, così da trasformare ogni interazione in una opportunità di dialogo sincero e costruttivo.
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