Wellness experience natalizie per connettere i brand ai clienti
Wellness experience natalizie per connettere i brand ai clienti Il Natale non è solo il
In base ai più recenti studi di neuromarketing, una disciplina che si rivela essenziale per le più evolute e moderne agenzie di comunicazione, la nostra facoltà d’acquisto è quasi sempre legata a un bisogno fisico, alla memoria e alle più intime emozioni. E anzi, esiste un vero e proprio legame emotivo che scaturisce tra il prodotto e l’individuo, tra la merce e il consumatore: basti pensare, per fare un semplice esempio, a certi alimenti che ci ricordano la nostra infanzia e che continuiamo a comprare ancor oggi, da adulti. Le merendine, i biscotti, la pastasciutta, il panettone o il pandoro del Natale in famiglia, muovono in noi dei tasselli, ci attivano un ricordo! Non a caso il #tisbloccounricordo è uno dei trend più cliccati e condivisi su Tik Tok, dai giovanissimi come della Gen Zed, ma anche dai Millennials. Il prodotto che ci riporta alla mente ricordi inossidabili è definito nel marketing con il nome di emotional brand, e la sua funzione è molto importante: creare engagement, un legame con il consumatore, una relazione che è in grado di perdurare nel tempo e nello spazio. Si crea, quindi, una sorta di relazione sentimentale tra il cliente e il prodotto (o il servizio), forte e duratura, che garantisce il continuo scambio vicendevole tra il marchio, il brand, e il suo pubblico affezionato. Più il cliente viene stimolato a livello sensoriale e percettivo, più sarà condizionato nel suo acquisto finale: quanto spesso ci capita di andare a ricercare nella memoria un sapore, una consistenza che sembrava perduta, e di ritrovarla poi in un preciso alimento?
Questa strategia di affiliazione è sfruttata in molti ambiti, da quello del cibo e della ristorazione, fino a quello della profumeria e del beauty in generale. I sapori, gli odori, i profumi, il gusto di un cibo piuttosto che un altro, o un’immagine particolare, una sensazione tattile che ci riporta alla mente qualcosa di bello e piacevole: queste percezioni stimolano l’emisfero emotivo del cervello e condizionano le nostre scelte, ogni giorno. Il legame emotivo, dunque, diventa una risorsa strategica, una potente arma di puro marketing che non solo cattura l’attenzione e la partecipazione attiva del cliente, ma che costruisce la cosiddetta brand loyalty, la fedeltà del consumatore verso quella specifica marca di biscotti, di pasta, quel detersivo, eccetera.
Tu chiamale se vuoi… emozioni… così cantava Lucio Battisti e così ci piace presentarle in musica: tutto può essere rappresentato, scritto o tramandato attraverso un’emozione, dal cibo al vino, che sono prodotti più legati alla sfera sensoriale, fino a quegli oggetti che solo a prima vista appaiono freddi e senza anima. Proprio come potrebbe in prima istanza apparire, ad esempio, una porta blindata, che esprime un senso di protezione, fino al cancello di casa nostra che ci ispira solidità e robustezza, sicurezza e famiglia: da questo dato di fatto, risulta chiaro come il content marketing si avvalga delle emozioni per catturare l’attenzione dello spettatore e per trasformarlo in un contatto, in un potenziale consumatore e cliente. In base agli studi di neuromarketing, che associa il nostro potere d’acquisto a un bisogno primitivo, quasi ancestrale, e alle nostre emozioni, l’individuo che compra qualcosa piuttosto che un’altra compie una scelta ben precisa e risponde quindi a una sollecitazione fisica del cervello. Da qui nasce, proprio in funzione di questo, la dicitura neuromarketing, la disciplina che trova un nesso, un legame tra quello che compriamo e scegliamo per noi, dalla cura che dedichiamo a noi stessi, o al bisogno di appartenenza e di consenso sociale che tutti sperimentiamo quotidianamente e che ci rende parte di un tutto.
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Come è possibile utilizzare le emozioni nel marketing? Bisogna come prima cosa fare un’attenta premessa per convocare quel senso di etica che deve contraddistinguere l’operato di tutti noi che facciamo comunicazione e marketing. L’intervento alle emozioni non deve scivolare in una becera attitudine manipolatoria: le persone non sono automi. Oggi, più di ieri, ci troviamo di fronte ad un modello di buyer personas altamente evoluto e digitale, in grado di saper selezionare i contenuti adeguati ad una corretta e libera scelta. Per anni il marketing delle emozioni è stato tacciato e condannato. Indubbiamente c’è stato chi ha cercato di strumentalizzare le passioni a scopo “puramente e meramente commerciale”, ma questa è un’altra storia, non la nostra. Quando parliamo di “leva emozionale” lo facciamo con il desiderio di costruire una emozione, regalare un sorriso, o far riflettere, fino alla nascita di una lacrima, proprio come la più antica delle arti, quella cinematografica, ci insegna a fare. In questo scenario le emozioni rappresentano esclusivamente una modalità per connetterci con la nostra parte più primitiva, quella ancestrale e intima, che non va confusa con la facoltà decisionale di chi sceglie e compra nel proprio quotidiano.
Esistono delle tecniche che le aziende possono utilizzare per creare una tavolozza di emozioni? Assolutamente sì. E probabilmente tra le tecniche più note (ma anche più difficili da realizzare in maniera funzionale) c’è lo storytelling, ad esempio, con una narrazione che ci connette con il nostro passato o con un particolare momento che abbiamo vissuto. Raccontare una storia, nella quale il brand fa da protagonista, crea un alto livello di empatia, di vicinanza con il suo pubblico, e dunque genera engagement, interazione duratura.
Oppure, il marchio parla al suo parterre di ascolto attraverso una dichiarazione d’intenti, esprimendo i propri valori e la propria brand identity: in questo modo il cliente si ritrova nella filosofia aziendale e nell’etica di quella marca, condivide i propri cardini e pensieri. Si può generare engagement attraverso un’esperienza personalizzata, una mossa strategica molto utilizzata nel mondo del food&beverage, dell’accoglienza e dell’hotellerie: il cliente che riceve un trattamento personalizzato vive qualcosa di unico, personale, mai visto prima, e lascia un feedback positivo al proprio brand di riferimento. O ancora, i brand di profumi, di vini pregiati, di beni de luxe, in generale, amano viziare i propri clienti con un packaging differente e alternativo, che stimola tutti i sensi e genera curiosità, aspettativa, ansia e attesa. In una parola, il tanto ricercato hype!
Per concludere, creare engagement è fondamentale: in questo modo si costruiscono i cosiddetti TOP BRAND, che identificano il marchio con il prodotto stesso. Dei capisaldi della propria categoria di riferimento, delle icone che non passeranno mai di moda, come la Nutella per la crema spalmabile alla nocciola, la Coca Cola per la bibita gassata o la Molinari per il liquore di sambuco.
Ebbene sì, il marchio ha sostituito il prodotto, il brand è più forte della sostanza stessa. Appare chiaro, in sintesi, quanto sia importante creare un legame con il pubblico e costruire nel tempo una brand royalty, fedele al prodotto e alla griffe, piuttosto che mirare sulle vendite a breve termine. Un consiglio per finire, se avete un’azienda: create engagement, esplorate le frontiere delle emozioni, solo così potrete contare, anno dopo anno, in una vera e propria community di clienti affezionati, gli ambasciatori del vostro brand che non vi lasceranno mai!
Viviamo in un contesto ormai iper digitalizzato e connesso: basta osservare i display dei nostri smarphone, per vedere tutte quelle iconcine colorate, espressione di una pluralità di canali, piattaforme e vettori di presenza online attraverso cui ormai ci muoviamo quotidianamente. Questa
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